Prossimità e lontananza di Elio Scarciglia: una breve riflessione sulla prospettiva

Di

Riccardo Renzi[1]

Prossimità e lontananza di Elio Scarciglia

Prossimità e lontananza, questo il titolo dell’ultima opera di Elio Scarciglia, docente, fotografo e regista pugliese, insignito nel 2013 del Premio Terre del negro amaro. Il volume è stato edito nel 2023 da Terra d’ulivi, con prefazione di Rosa Pierno, architetto e nota critica letteraria. Il volume è un interrogativo sulla prospettiva, ci si chiede come sia possibile restituire la visione umana attraverso dei fotogrammi, «E se del papavero si volessero possedere una visione dall’alto e una frontale, allora sarebbe necessario effettuare la composizione di due fotogrammi, introducendo l’artificio a vangate»[2]. Ma questo sarebbe un mero artifizio umano, che poco restituirebbe della naturalezza e semplicità del papavero. Scarciglia nel volume ci presenta una ricerca visiva che vada a costituire un giusto equilibrio tra artificio e naturalezza. Le prime dieci opere proposte dall’autore sono a tema vegetale, si va dalle foglie ai frutti, passando per un fiore come il papavero appunto. Nelle fotografie c’è un’attenzione maniacale al dettaglio, alle minuzie. Nella prima fotografia le goccioline di rugiada che corrono lungo l’incurvatura della mela e sulla foglia appassita sembrano quasi palpabili, a limite tra l’interno e l’esterno dell’immagine. Il gioco tra luci e ombre è costante in tutti i soggetti proposti. Le nature morte sembrano ammiccare a quelle di Michelangelo Merisi, noto ai più come Caravaggio. In esse la caducità della vita è sempre proposta attraverso riferimenti iconologici e iconografici, dal fico diviso a metà sino al melograno con parte dei semi sul piano. Ma quest’ultimo lasciato intonso simboleggia anche fertilità, abbondanza e rinnovamento della vita. Quello di Scarciglia è un dialogo continuo con i grandi pittori del passato, da Caravaggio a Delacroix, passando per Hans Holbein e Josef Sudek, ma in lui c’è anche molto verismo italiano, dai fratelli Bueno ai paesaggi di Giuseppe Pende. Lo stile dell’autore è inconfondibile e si identifica nel trattamento dell’immagine stessa, ciò lo si evince chiaramente dalle diciotto opere successive, accomunate dal soggetto: il paesaggio. Qui, più che nelle nature morte, la mano dell’autore è inconfondibile. Dall’immagine si evince l’arduo studio che vi è dietro, dalla ricerca paesistica a quella della stagione e dell’orario dello scatto. «Il contenuto del messaggio fotografico è il reale fissato in una riduzione di prospettiva ed è un messaggio senza codice»[3]. L’autore vuole comunicare la bellezza della natura restituendone la sua naturalezza in modo meno artificioso possibile e dialogando continuamente con i grandi artisti e studiosi della prospettiva che lo hanno preceduto. Le foto non hanno didascalie, poiché esse come afferma Roland Barthes esse costituiscono solo un’aggiunta che vuole connotare l’immagine con significati alieni rispetto all’immagine stessa[4].

Non voglio però svelare al lettore altro e non mi resta che augurarvi un buon viaggio attraverso queste splendide opere.


[1]Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo.

[2]R. Pierno, Prossimità e lontananza, in E. Scarciglia, Prossimità e lontananza, Lecce, Terra d’ulivi edizioni, 2023, p. 5.

[3]R. Pierno, Prossimità e lontananza, in E. Scarciglia, Prossimità e lontananza, Lecce, Terra d’ulivi edizioni, 2023, p. 10.

[4]R. Barthes, L’ovvio e l’ottuso. Saggi critici III, trad. Carmine Benincasa, Giovanni Bottiroli, Gian Paolo Caprettini, Daniela De Agostini, Lidia Lonzi e Giovanni Mariotti, Torino, Einaudi, 1985, p. 23.

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