Il tempo del cinema intervista

Lucio Dell’Accio è nato nel 1958. Laureato al DAMS dell’Università di Bologna con una tesi in semiotica del cinema. Scrittore e regista. Nel 2011 ha realizzato il docu-film Scene di una strage, che racconta la strage di piazza della Loggia (Brescia, 28 maggio 1974), distribuito in dvd per Ediesse Edizioni. Ha vinto un premio letterario con un racconto storico e pubblicato suoi racconti in alcune antologie e su una rivista letteraria online. 

Il tempo del cinema

Alessandro Monteri, il protagonista-narratore della storia, è un giovane filmmaker indipendente, estraneo alle dinamiche e alle mentalità dominanti nel cinema italiano di fine Novecento. Vive a Roma, gira film in bianco e nero con budget poveri, ha poche ma forti amicizie – come quella con Giulia, insegnante di Storia dell’arte, che gestisce insieme a suo padre una libreria in Campo de’ Fiori – e una storia finita con Francesca, una ragazza di Ferrara.

Si imbatte in una vicenda realmente accaduta nell’Italia degli anni Venti, la storia del sedicente capotribù pellerossa Capo Cervo Bianco, un attore della Paramount che diceva di aver recitato con Rudy Valentino. Dopo i successi in Inghilterra, in Belgio e in Francia, arrivò in Italia nel 1924 – portato da due contesse italo-austriache conosciute a Nizza, sedotte del suo fascino esotico e sue prodighe finanziatrici –, nei tragici mesi del delitto Matteotti, sfilò in costume indiano e camicia nera nelle maggiori città della penisola e conquistò le folle, ottenne titoli e onori dai fascisti, e quasi certamente fu ricevuto a Palazzo Chigi da Mussolini, di cui Capo Cervo Bianco si dichiarava un fervente seguace.

Alessandro vuole farne un film. Si mette in viaggio per cercare le vecchie pellicole dell’epoca che documentano il trionfo in Italia di Capo Cervo Bianco, finite in modo avventuroso nei depositi della Cinémathèque française di Parigi e della Cinemateca portuguesa di Lisbona. Il viaggio si svolge tra la primavera e l’estate del 1997. La sua ricerca assume la forma di una detection: Alessandro vuole conoscere a fondo cosa è accaduto più di settant’anni prima, indaga le ragioni e i segreti del misterioso capo indiano fascista.

Nel corso del viaggio conosce altre realtà, accadono nuove cose alla sua vita, fa incontri importanti. A Parigi inizia una storia d’amore con Véronique, un’archivista della Cinémathèque che lo aiuta a trovare le pellicole del capo indiano. Insieme a lei riscopre il valore e la bellezza del cinema delle origini, dei film dei fratelli Lumiére e di Georges Méliès. A Lisbona continua le sue ricerche alla Cinemateca portuguesa,e,per guadagnarsi da vivere, impara a fare il proiezionista in un cinema dell’Alfamagestito da una coppia di anziani, Inácio Blanca, che in passato sono stati oppositori della dittatura di Salazar. Inácio gli insegna l’arte della proiezione cinematografica, ascolta le sue storie e diventa suo mentore.

Alessandro mette insieme i capitoli dell’avventura di Capo Cervo Bianco, scrive il suo film e lo propone a un produttore di Lisbona – ma scopre anche un senso più profondo della realtà, che cambia il modo in cui può immaginare il cinema e lo aiuta a capire come vivere il mondo e la sua stessa vita.

Di cosa parla il tuo libro?

Il tempo del cinema racconta una storia che si svolge durante la fine del Ventesimo secolo, lungo le rive dei fiumi che attraversano tre città – Roma, Parigi, Lisbona. Narra una stagione di vita e l’odissea di un giovane filmmakeralla ricerca di una storia realmente accaduta durante il fascismo. Parla di esperienze e incontri che durano e di ciò che si può scoprire della vita attraverso un modo nuovo di immaginare il cinema: cercare radici e provare a cambiare, lasciarsi alle spalle ogni vissuto negativo e trovare il coraggio di scegliere una nuova vita da vivere.

Perché dovrebbero leggerlo?

Perché è un romanzo di formazione, un cammino di risanamento tra amicizie e amori vissuti con gli occhi del cinema nelle strade di tre città europee. Propone infine un punto di vista sui generis sulla storia italiana del Ventesimo secolo, in particolare su quella del fascismo nei tragici mesi del delitto Matteotti.

In generale poi credo che il ruolo del lettore sia sempre in qualche modo definitivo. Si scrive un libro che attende un incontro, cerca un approdo a una compiutezza che può giungere soltanto con la lettura da parte di qualcuno che forse non incontreremo. Attraverso l’atto creativo della lettura, chi legge rende possibile il racconto e rivela il senso di una storia, consente altre percezioni più celate, e l’opera trova una sua provvisoria interezza.

Cos’è per te la letteratura?

«Letteratura» è innanzitutto una parola misteriosa, una di quelle parole che si proiettano oltre il significato, lo trascendono. È una seducente estensione dell’anima, ha una phoné particolare. È suono e silenzio, la quiete di un orizzonte che si medita in solitudine, che resiste a ogni spiegazione, la allontana, perché qualsiasi definizione la priva della contemplazione e della sospensione del senso da cui nasce la sua bellezza.

Per me la letteratura è come il tempo per Agostino d’Ippona: quando scrivo so cos’è, o credo di saperlo, ma quando me lo chiedono ne parlo con difficoltà, e posso riferirmi solo a quella sua phoné peculiare e agli interrogativi che rivolge, un domandare che risuona nello spazio dell’immaginario, una dimensione in cui conta solo l’atto del nominare e del narrare. La letteratura ha la forma di una domanda aperta che nega ogni risposta forte, conta solo il contatto con la parola.

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