Gioia mia recensione

recensione gioia mia

Dopo l’Amurusanza Tea Ranno ci regala momenti di piacevole lettura con Gioia Mia. I personaggi sono gli stessi, ma la prospettiva cambia: se nel primo le vicende ruotavano intorno ad Agata, la Tabaccara, adesso è Luisa, la Castiddota, a fare da cardine. Una donna triste Luisa, sicuramente non in splendida salute. Suo malgrado riuscirà a superare una sciagura dietro l’altra, ma a discapito di cosa? Un marito, Carmine, maschilista, prepotente e autoritario; un matrimonio infelice, finito anche se nessuna carta scritta lo ufficializza tale. Carta scritta, il nome di una libreria che vorrebbe portare aria di novità in un paese dove la letteratura manca.

Luisa e Giona, due estranei che si incontrano e scoprono che i loro dolori sono simili, ma non possono essere uguali, perchè ogni dolore è sofferto a modo proprio, ogni lutto elaborato intimamente.

Perciò t’insegno le cose, gioia mia, perciò ti parlo: per
farti venire la curiosità, per spingerti a domandare, a voler sapere. Sempre il
perché ti devi domandare, ma non ti devi fermare alla domanda, al dubbio,
ti devi sforzare di trovare la risposta. Se ti fai le domande e vai cercando le
risposte, la materia grigia si concima e frutta magnifica. Come a Terramia”
precisava per farmi capire, “se nella terra non ci metto lo stallatico o il
pecorino – niente chimica, ché quella ci ammazza a tutti – ti pare che mi
viene la frutta spettacolosa che porto a casa?”
Così mi parlava, mio nonno. E aveva voglia mio marito di dire che la
scuola di don Nino era stata scuola di superbia, che mi aveva ammacchiato
perché mi aveva fatto diventare la lingua pizzuta e il malo carattere. Gli
replicavo che don Nino mi aveva concimato il cervello e lui rideva, diceva:
“Ah, finalmente lo capisco da dove viene ’sto feto di merda!”
.

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